Anzitutto lo spunto. Angelo Gaja, pubblicando nel mese di novembre un articolo sul sito dell’Ais dal titolo “Crisi finanziaria-economica: quali riflessi sul vino?” ha riproposto un argomento quasi sempre sotto traccia ma mai veramente affrontato: l’utilità, o, più correttamente, l’inutilità, di gran parte della promozione italica dei vini. Testualmente dichiara che “la crisi finanziaria avrà effetti negativi sull’economia creando disoccupazione, carenza di liquidità e calo dei consumi, il che significa che in Italia si berrà ancor meno vino; mentre invece cresceranno le eccedenze a causa della maggiore produzione vinicola 2008 rispetto al 2007 e di un paventato rallentamento delle esportazioni”. Per questo auspica, finalmente, un vero piano organico di supporto alla vendita sui mercati esteri, ad oggi inesistente. Definisce poi inefficaci le iniziative finora intraprese localmente. “Trascinare il vino – aggiunge Gaja – sistematicamente nelle strade e nelle piazze, come ha insegnato a fare l’associazione Città del Vino (…) più che una banalità è uno scempio (…). Quelli che operano per la promozione del territorio hanno preso in ostaggio il vino sfruttandolo in tutti i modi nella speranza di incrementare il richiamo turistico, senza benefici apprezzabili per il consumo. Viene così sperperato oltre il 50% del denaro pubblico destinato in Italia alla promozione del vino…” Come non essere d’accordo con chi afferma che la promozione del vino in Italia vada profondamente ripensata? Faccio tuttavia un distinguo, o meglio una precisazione. Sono grato a chiunque abbia organizzato eventi trascinando il vino nelle piazze, perchè così spesso si è ridata vita a borghi e territori richiamando persone, ma di certo occorre prendere atto che questa non è una modalità per promuovere il vino! Deve anche essere chiaro che la colpa della inefficace promozione del vino non è di altri se non dei produttori. Se questi infatti continuano a prodigarsi partecipando a degustazioni, assaggi, presentazioni, fiere e fierucce… e se continuano a rincorrere i 3 bicchieri ed i 5 grappoli invece che investire sui canali commerciali, nessuno, tranne loro stessi, ne ha colpa. È pur vero che hanno serie responsabilità anche i consorzi, che, da sempre in deficit di professionalità, riescono a tenere calmi gli animi degli associati solo buttando sul piatto della bilancia (sull’altro ci sono le quote di adesione pagate sempre più malvolentieri) qualche inutilissima partecipazione a qualche evento, spacciandola per promozione; ma in ultima analisi i consorzi lavorano male perché nessuno li pungola a fare di meglio. L’evidente risultato è che, sia i singoli produttori sia le strutture associative non fanno altro che alimentare una macchina che, oltre che costosissima, è del tutto inefficace. Proporre all’assaggio vini in contesti ove l’interlocutore è un consumatore, giustamente disattento (è lì per godere, non per ragionare del vostro vino), può avere un senso una volta l’anno, nel novero di qualche avvenimento rilevante per il territorio o all’interno della propria azienda (anche perché così poi qualcuno compra, sul posto). Farlo sistematicamente, organizzando serate su serate e macinando chilometri per distribuire gratis dei vini fuori da un teatro o nel cortile di un castello è atto inutile, economicamente suicida e svilente sul fronte del marketing. Certo, il vero dramma è che, ancora nel 2008, enti ed istituzioni, invece che lavorare per fare incontrare i buyer (sia esteri che nazionali) con i produttori, si ostinano a organizzare eventi ove c’è qualcuno che contemporaneamente ti piazza in mano una fetta di salame e un bicchiere di vino (entrambi sconosciuti e di cui in quel momento ancor meno te ne frega), oppure, ed è anche peggio, perseverano nell’inventarsi premi da assegnare a qualche ‘trombone’ nell’ambito di pallosissime serate. Ma sta sempre ai produttori rifiutarsi di partecipare…