Lo scorso 2 aprile in occasione degli incontri tecnico-scientifici organizzati dall’Istituto Rodhanien, Nicolas Richard, responsabile della ricerca, ha fatto il punto sul gusto di topo nei vini, problematica in crescita a causa del minore uso della solforosa .
Non esiste un unico gusto di topo. Si possono classificare in tre categorie sensoriali: pop-corn, vomito e note di urina di topo.
Nel 2002, ricercatori australiani avevano individuato tre piridine responsabili del fenomeno: ATHP (2-acetil-tetraidropiridina) ETHP (2-etil-tetraidropiridina) e APY (2-acetil-1-pirrolina).
La molecola ATHP sembra essere la molecola principale. La nota sensoriale appare nella fase retro-olfattiva, in modo abbastanza persistente, quando il vino è mescolato alla saliva.
ATHP diventa volatile solo a valori di pH superiori a 4,5, per cui non è percepibile semplicemente annusando il vino. Per rilevarla in cantina esistono alcuni trucchi come immergere il dito nel vino e provare e attendere che si asciughi per verificare se si sente, o aggiungere bicarbonato di sodio nel vino per percepire il difetto a livello olfattivo. ETHP e APY non sembrano dipendere dal pH.
I ricercatori francesi stano lavorando sui metodi di dosaggio ed hanno ipotizzato tre possibili vie metaboliche. L’ossidazione di etanolo da parte dei batteri lattici e/o Brettanomyces. L’ossidazione del glucosio attraverso una reazione di Maillard per ossidazione del glucosio ed infine l’iperossidazione.
Hanno inoltre testato diversi trattamenti curativi: i più efficaci sono risultati l’aggiunta di ellagitannini, la solfitazione e il chitosano.
In caso di comparsa di gusto di topo, Nicolas Richard raccomanda l’aggiunta di 2g/hl di solforosa e di 5 g/hl di tannino.
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