I vini bianchi e rosati, esposti alla luce, possono andare incontro a un decadimento organolettico conosciuto con il nome di “gusto di luce” o “difetto di luce”, in particolare se commercializzati in bottiglie in vetro bianco.
Tale alterazione è legata principalmente alla sensibilità fotochimica della riboflavina (vitamina B2) che esposta alla luce, e in particolare a lunghezze d’onda comprese fra 370 e 450 nm, va incontro a fotodegradazione ossidativa degli aminoacidi solforati, in particolare della metionina.
Affinché il fenomeno si verifichi, è necessario che le bottiglie in cui è contenuto il vino, consentano il passaggio della radiazione luminosa alle lunghezze d’onda coinvolte. La trasparenza è massima per le bottiglie in vetro chiaro, inferiore per le bottiglie “verdi”, praticamente assente per le bottiglie ambrate.
Molti studi hanno cercato di correlare la suscettibilità al gusto di luce alla varietà di uva, ma la risposta non è stata univoca.
Per valutare l’incidenza del difetto “gusto di luce” nei vini italiani, tra il 2015 e il 2016 abbiamo campionato oltre 100 vini bianchi, destinati a bottiglia chiara, da tutta Italia e ne abbiamo determinato il contenuto di Riboflavina.
Il valore medio riscontrato (75 ppb) è al di sopra della soglia di rischio, questo significa che i vini bianchi italiani sono fortemente esposti alla possibilità di sviluppare il gusto di luce durante la loro “vita di scaffale”.
Abbiamo valutato anche l’impatto di trattamenti chiarificanti specifici e di protezioni in bottiglia. Con la chiarifica (Kolirex Go Fresh) siamo arrivati a prevenire lo sviluppo del gusto di luce nel 58% dei casi.
Con la protezione in bottiglia Redox Longevity si arriva a “curare” il difetto nell’86% dei casi.
Per approfondire:
Vedi anche le altre presentazioni Dal Cin ad Enoforum 2017:
Gusto di Luce: stato di avanzamento delle conoscenze su vini spumanti
Il difetto del gusto di luce visto dall'enologo