Si prende in esame l’incidenza del difetto “gusto di luce” in una realtà complessa e articolata come Gruppo Italiano Vini.
L’impiego di bottiglie in vetro chiaro per tutti i vini rosati, e per una quota significativa dei vini bianchi e frizzanti è dettata fondamentalmente dalle richieste del mercato che apprezza la possibilità di poter “vedere il vino”.
I rischi legati alla scelta di una bottiglia che non protegge il vino dagli effetti della radiazioni luminosa è accompagnata all’impossibilità di intervenire sulle condizioni di esposizione presso i distributori (GDO e Horeca).
Sia nella GDO sia nell’Horeca le bottiglie si trovano esposte alla luce (sugli scaffali o nelle cantinette) e il tempo di esposizione può essere sufficiente a scatenare le reazioni di fotossidazione della riboflavina, avviando il decadimento qualitativo del vino.
Il fenomeno riveste una criticità sostanziale perché il “gusto di luce“ è poco noto al consumatore finale, che spesso associa il difetto a una cattiva qualità iniziale del prodotto, anziché a una modalità di conservazione non adeguata, restituendo raramente feed-back al produttore e limitandosi a modificare le sue preferenze di acquisto.
Per prevenire il problema del gusto di luce, nel corso di diverse annate è stato misurato il contenuto di riboflavina in masse di Pinot grigio, prima e dopo l’ultima chiarifica.
Alla luce dei risultati ottenuti, è stata validata la procedura di chiarifica che meglio concilia le esigenze di stabilità proteica, illimpidimento, rimozione della riboflavina e rispetto del quadro aromatico.
Vedi anche le altre presentazioni Dal Cin ad Enoforum 2017:
Diffusione potenziale del difetto "gusto di luce" nei vini italiani e risultati dei trattamenti proposti
Gusto di Luce: stato di avanzamento delle conoscenze su vini spumanti