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Riduzione della chimica in enologia: strategie attraverso l’impiego del chitosano in ambito non microbiologico
Bertrand Robillard, Institut Oenologique de Champagne; Matteo Perini, Fondazione Edmund Mach
Il chitosano è un composto estratto dalla chitina e, dopo la cellulosa, è il secondo polisaccaride più abbondante presente sul nostro pianeta. Troviamo questo biopolimero distribuito in natura come costituente degli esoscheletri di crostacei e funghi come l’Agaricus o l’Aspergillus.
Nel mondo enologico il chitosano deve essenzialmente la sua reputazione all’azione particolarmente efficace svolta per combattere le derive microbiologiche. Ad esempio, alcuni vini particolarmente contaminati da Brettanomycès possono recuperare la loro popolazione al di sotto della soglia tecnicamente misurabile.
In realtà questo polisaccaride viene usato in enologia anche per la riduzione dell’uso dei solfiti, come chelante dei metalli pesanti e come antiossidante e chiarificante di mosti e vini. Bertrand Robillard, dell'Institut Oenologique de Champagne, nella sua presentazione approfondisce tutte le proprietà del chitosano, e le possibili applicazioni enologiche.
Da più di 10 anni, l’OIV raccomanda l’impiego in enologia dei derivati della chitina (chitosano e chitina-glucano) di esclusiva origine fungina al fine di evitare qualsiasi rischio allergenico, ma i metodi ufficiali prescritti per confermare l’origine fungina del chitosano risultano impegnativi e richiedono tempi analitici lunghi (superiori a 3 ore per campione). Per questo motivo, il nuovo metodo analitico, veloce e maggiormente automatizzato basato sull’analisi dei rapporti degli isotopi stabili, frutto dalla ricerca di Matteo Perini della Fondazione Edmund Mach risulta di grande interesse.
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