Negli ultimi decenni l’utilizzo della parola “mineralità” nella descrizione organolettica di alcuni vini è aumentato sensibilmente fino a diventare uno dei descrittori più frequentemente utilizzati per alcune varietà come Chardonnay, Riesling, Fiano, Grüner veltliner, Catarratto etc. in determinate zone. I descrittori più frequentemente associati a questa caratteristica sono sapidità, freschezza, pietra focaia, grafite, polvere da sparo, salsedine, fino ad arrivare in alcuni casi anche a sentori di idrocarburi e a sensazioni solforate che non sconfinano nel difetto.
DALLA BORGOGNA UN NUOVO LIEVITO CHE ESALTA LA PERCEZIONE DI MINERALITÀ
Il Centre Oenologique de Bourgogne (COEB) ha selezionato un nuovo lievito S. cerevisiae (LALVIN NBC™) dalla fermentazione di uve Chardonnay provenienti dal distretto del Mâconnais, nel sud della Borgogna, in Francia, per le sue capacità fermentative e per il peculiare profilo organolettico che è in grado di conferire. Nel corso delle numerose prove di vinificazione in cui è stato utilizzato, ha dimostrato performance fermentative sicure e affidabili su uve bianche provenienti da diversi vitigni, differenti terroir e in una vasta gamma di condizioni enologiche. Questo lievito si è fin da subito contraddistinto per la capacità di apportare un interessante contributo sensoriale minerale ai vini e per l’abilità di integrare un profilo vivace ed equilibrato a sentori di fiori bianchi, agrumi e pietra focaia, permettendo di ottenere vini bianchi moderni, freschi ed eleganti, enfatizzando il carattere varietale. In una prova comparativa condotta in Germania su Chardonnay, l’analisi sensoriale condotta da un panel di 33 giudici esperti ha fatto emergere come il vino ottenuto con LALVIN NBC™, rispetto ad un lievito di referenza, risulti nettamente più fresco all’assaggio, caratterizzato da un profilo più citrico, minerale e con una maggiore persistenza (Figura 1). Risultati analoghi sono stati ottenuti in un’altra prova comparativa effettuata su uno Chardonnay 2022 del Languedoc (Sud della Francia, Figura 2). Nel 2022 il lievito è stato utilizzato in vinificazioni su scala di cantina, su molteplici varietà e in diverse aree vitivinicole a livello internazionale confermando il suo peculiare profilo organolettico.
Tentativi di definizione della mineralità
Un recente studio condotto da Ballester et al. nella regione dello Chablis (Francia) si è posto come obiettivo quello di far luce sul concetto di mineralità, investigando come questa venisse percepita da un panel addestrato di 34 giudici esperti sottoposti all’attenta analisi sensoriale di 16 vini Chardonnay, di 3 differenti annate e diversi produttori.
I giudici hanno effettuato dapprima una valutazione dei vini basandosi esclusivamente sulle sensazioni olfattive e successivamente identificato i descrittori più rappresentativi al palato. Il 63% dei giudici ha dichiarato di aver individuato dei sentori minerali sia al naso che al palato, il 20% solamente al palato ed il 16% solo per via olfattiva. Per quanto riguarda la definizione del carattere minerale sono stati identificati una moltitudine di descrittori sia olfattivi che gustativi, a conferma che la mineralità non può essere associata univocamente ad un unico descrittore. Gli aggettivi più frequentemente individuati sono stati classificati all’interno di diverse categorie semantiche. La più rappresentativa è la categoria relativa alla pietra, che comprende in gran parte sensazioni olfattive associabili alla pietra focaia, alla pietra pomice bagnata e al gesso. Una seconda importante categoria semantica comprende per lo più sensazioni gustative legate invece all’acidità e alla percezione di freschezza e vivacità in bocca, mentre la terza categoria era composta da sensazioni saline descritte come iodio, salsedine, alghe e crostacei.
Questo come altri lavori sul tema fa emergere come, nonostante i diversi approcci metodologici utilizzati per cercare di delineare il concetto di mineralità, questa caratteristica sia un descrittore multimodale in grado di unire un pool di più sensazioni (olfattive, gustative e retro-olfattive) associate a diverse percezioni sensoriali.
Suolo e vino: un concetto confuso di mineralità
Partendo dall’importante legame che esiste tra vino e territorio d’origine, è facile intuire come la semplice e attraente tentazione di dare alla mineralità un significato letterale e cioè la convinzione di poter letteralmente percepire i minerali trasmessi dal suolo al vino, sia diventata una credenza comune che distorce la realtà, come chiarisce il geologo Alex J. Maltman nella pubblicazione “Minerality in wine: a geological perspective.” J. Wine Res. 2013. Questa visione semplicistica si basa sulla conoscenza poco chiara che ruota attorno al termine minerale, che da un lato si riferisce alla struttura fisica dei minerali che costituiscono il suolo di un vigneto, intesi come elementi solidi in senso geologico, inorganici e di struttura chimica complessa, dall’altro ai minerali essenziali per la crescita della vite, rappresentati invece da cationi metallici che devono essere disciolti in acqua affinché le radici possano assorbirli. Minerali intesi, in questo caso, in senso nutritivo e trasferiti al vino come elementi inorganici singoli (potassio, calcio, magnesio, ferro e rame principalmente). Alcuni studi si sono concentrati sulla determinazione delle soglie di percezione di questi ultimi, ciò che emerge è come i valori siano ben al di sopra delle concentrazioni riscontrabili nel vino, senza considerare che la presenza di un’elevata variabilità di composti nella matrice vino renderebbe ancora più difficoltosa la loro eventuale percezione. La presenza di cationi nel vino è un fattore importante, ma si tratta per lo più di relazioni complesse che si instaurano con altri composti che a loro volta possono eventualmente influenzare il profilo organolettico.
I principali composti capaci di modulare la percezione del carattere minerale
In uno studio condotto da A. Palacios (2015) sull’impatto di diversi composti chimici addizionati a soluzioni idroalcoliche, sono stati individuati i seguenti composti potenzialmente riconducibili ai sentori minerali: acido isobutirrico, acido ottanoico, β-feniletanolo, etil acetato ed alcol isoamilico. Passando alla disamina di diversi studi che hanno analizzato con l’approccio del projective mapping, ovvero individuare in un set di vini quelli con caratteri minerali ed eseguire analisi chimiche per identificare i composti potenzialmente responsabili di tale sentore, un lavoro di ricerca condotto su Riesling e Grüner veltliner ha evidenziato che elevate concentrazioni di acido succinico tendono a portare il panel di giudici esperti a percepire maggiori sensazioni saline al palato (sapore salato), in entrambe le varietà valutate (Baroň M. e Fiala J., 2012).
Altri lavori condotti con lo stesso approccio su vini bianchi (Bershaw et al., 2010; Heymann et al., 2014) hanno evidenziato invece una stretta correlazione tra la percezione del carattere minerale e le maggiori concentrazioni di acido malico e tartarico. Tendenza paragonabile anche per quanto riguarda i livelli di solforosa libera e totale, in grado di giocare in alcuni casi un ruolo positivo nell’esaltazione delle sensazioni metalliche e minerali, soprattutto con pH bassi. Rodrigues et al., nel 2017 hanno condotto un’analisi approfondita sulla composizione chimica di alcuni vini Chablis (Chardonnay) provenienti da due zone differenti, in relazione agli aspetti sensoriali rilevati all’assaggio. I risultati hanno mostrato concentrazioni più elevate di metantiolo quando il carattere minerale veniva percepito, un composto solforato tendenzialmente off-flavour che può assumere a basse concentrazioni note minerali. I vini con inferiore mineralità hanno invece mostrato all’analisi livelli più elevati di rame e norisoprenoidi. Da un lato è noto come il rame sia in grado di reagire con i composti solforati per formare complessi inodori, d’altra parte, i norisoprenoidi sono correlati invece alla comparsa di note floreali e fruttate che tendono a mascherare l’effetto minerale.
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