Marzio Mannino (Resp. Tecnico e Qualità – Francy Oenology

Tommaso Perini

Tutti gli enologi valutano il quadro acido del mosto in fermentazione e del vino finito commentando i livelli di acido acetico, malico e lattico principalmente, ma valutando molto poco anche i livelli di acido citrico, succinico e altri acidi considerati minori. Normalmente impuntano una variazione del rapporto malico/lattico ad una attività batterica in atto, senza considerare il fatto che anche i lieviti Saccharomyces usano, consumano e producono, a causa del loro metabolismo, gli acidi organici che si trovano poi nel vino e che partecipano al quadro organolettico globale. Il classico esempio è quando vi sono degli innalzamenti di acido lattico oltre una certa concentrazione e un livello di acido malico che si riduce, ma il loro rapporto appare sbilanciato. Quasi sempre questo viene imputato ad una attività di batteri malolattici. In molti casi invece questo fenomeno è dovuto al metabolismo dei lieviti, che a seconda delle condizioni di sviluppo in cui si vengono a trovare possono spostare il loro metabolismo a favore di un consumo dell’acido malico e produzione di acido lattico, oppure il consumo di acido malico senza produzione di acido lattico, oppure producendo essi stessi acido malico, deviando le vie metaboliche in altre direzioni. Francy Oenology ha selezionato un ceppo di lievito e sviluppato un protocollo specifico per svolgere la fermentazione alcoolica e contemporaneamente degradare l’acido malico nelle prime fasi della fermentazione, permettendo di avere un vino stabile microbiologicamente con un quadro acido ed un pH definito e stabile a fine fermentazione, sviluppando aromaticità complesse ed equilibrando l’aspetto gustativo. 

Degradazione dell’acido malico in differenti specie di lieviti 

Le specie di lievito riconosciute per la loro capacità di metabolizzare l’acido L-malico extracellulare vengono divise in due gruppi: K (-) o K (+) che sono classificati in funzione alla loro capacità di utilizzare l’acido L-malico e altri intermedi del ciclo degli acidi tricarbossilici (ciclo di Krebs) come unica fonte carboniosa (Volschenk et al, 2003). Il gruppo K (+) comprende le specie Candida sphaerica, C. utilis, H. anomala, P. stipitis e K. Marxianus, che evidenziano la capacità di utilizzare gli intermedi del ciclo di Krebs come unica fonte di carbonio. Al contrario, il gruppo di lieviti K (-) comprende i lieviti che sono in grado di utilizzare gli intermedi del ciclo di Krebs solo in presenza di glucosio o di altre fonti di carbonio assimilabili. (Saayman et al, 2006) Saccharomyces cerevisiae, Schizosaccharomyces pombe, Schizosaccharomyces pombe var. malidevorans e Zygosaccharomyces bailii sono classificati come lieviti K (-) (Volschenk et al, 2003), ma presentano differenze significative nella loro capacità di degradare il L-malato. 

Ad esempio, Saccharomyces cerevisiae è considerato uno scarso metabolizzatore di acido malico extracellulare, mentre (Salmon, 1987) ceppi di Schizosaccharomyces pombe e Zygosaccharomyces bailii possono degradare elevate concentrazioni di acido malico. I fattori che maggiormente influenzano la degradazione dell’acido malico sono: 

  • S. cerevisiae non presenta un sistema di trasporto attivo per il L-malato extracellulare, che quindi entra nelle cellule per semplice diffusione invece, Schizosaccharomyces pombe, utilizza un trasportatore specifico che sfrutta un simporto mediato da H+ per il traporto attivo dell’acido L malico nella cellula (Saayman et al, 2006) 
  • L’enzima malico di S. cerevisiae ha un’affinità di substrato (L-malato) significativamente inferiore (Km = 50 mM) rispetto a quello di S. pombe (Km = 3,2 mM) (Temperli et al, 1965; Fuck et al., 1973). 
  • L’enzima malico di S. cerevisiae è mitocondriale, mentre quello di S. pombe è citosolico (Figura 5), per cui l’enzima di S. cerevisiae risente del deterioramento mitocondriale dovuto dalla fermentazione del glucosio. (Volschenk et al., 2003)
     
Figura 1: MA, acido malico; Py, piruvato; ME, enzima malico; e mae1p: trasportatore di malato. L’immagine mostra la differenza del trasporto dell’acido malico all’interno della cellula tra S. cerevisiae (diffusione) e S. pombe (trasporto attivo con enzima mae1p) e il differente collocamento degli enzimi malici (mitocondri in S. cerevisiae e citoplasma S. pombe) (Volschenk et al., 2003).

Come evidenzia la figura 1 le principali differenze nell’utilizzo dell’acido L-malico tra S. cerevisiae e S. pombe sono: (i) tipo di trasporto del malato (ii) l’affinità substrato-enzima malico e (iii) compartimentazione degli enzimi malici in queste due specie di lievito.
Il L-malato svolge un ruolo centrale nel metabolismo dei composti C3 e C4 in diversi compartimenti subcellulari della cellula di lievito. A seconda delle esigenze cellulari, il malato può essere ossidato, disidratato o decarbossilato. L’ossidazione del L-malato, produce ossalacetato per il turnover del ciclo di Krebs, tuttavia il ciclo di Krebs viene svolto principalmente nei mitocondri ed è funzionale solo in condizioni aerobiche. (Boulton et al., 1996). In condizioni anaerobiche e in presenza di alte concentrazioni di glucosio, le cellule di S. cerevisiae non hanno mitocondri funzionali (Fraenkel, 1982), ma enzimi citosolici simili a quelli del ciclo TCA che producono gli intermedi biosintetici necessari per la loro crescita. Le reazioni enzimatiche del ciclo TCA comprendono l’idratazione del fumarato a L-malato tramite l’enzima “fumarasi” e l’ossidazione del L-malato a ossalacetato attraverso l’enzima “malato deidrogenasi”, con il NAD che funge da accettore di elettroni. L’equilibrio di questa reazione è nella direzione dell’ossidazione del malato, favorita dalla continua assunzione di ossalacetato nel ciclo TCA. Sia la “fumarasi” che la “malato deidrogenasi” sono regolate dalla concentrazione di substrato e dalla richiesta del bilancio riduttivo o ossidativo del ciclo TCA (Boulton et al., 1996).
La malato deidrogenasi (MDH) catalizza reversibilmente l’ossidazione/riduzione del malato/ossalacetato (OAA) in presenza di (NAD+)/NADH come coenzima (Minarik et al., 2002). Nelle cellule eucariotiche, la conversione malato-OAA rappresenta un passo importante nel ciclo TCA e del gliossilato. In Saccharomyces cerevisiae sono stati segnalati tre isoenzimi di MDH (MDH1; MDH2; MDH3). Le MDH svolgono ruoli importanti in vari processi cellulari. MDH1 è un isoenzima mitocondriale e funziona nel ciclo TCA (Minard & McAlister-Henn, 1991). MDH2 è un isoenzima prevalentemente citosolico che ossida il malato a OAA nel ciclo del gliossilato (Minard & McAlister-Henn, 1991). MDH3 è un isoenzima gliossomiale (Steffan & McAlister-Henn, 1992) che è un componente essenziale della via della gluconeogenesi che genera glucosio da substrati carboniosi non glucidici ed è coinvolto nella ossidazione del NADH prodotto dall’ossidazione degli acidi grassi (van Roermund et al., 1995).

Figura 2: l’immagine mostra i diversi metabolismi dell’acido malico all’interno e all’esterno del mitocondrio in una cellula di lievito (Saayman et al, 2006).

Questa degradazione del malico che può portare alla produzione di lattico è completamente differente da una fermentazione malolattica batterica (Fig. 3), sia qualitativamente sia quantitativamente. Mentre nei batteri la decarbossilazione ossidativa dell’acido L-malico a acido L-lattico con produzione di anidride carbonica, e il metabolismo del citrato con produzione di lattato, acetato, etanolo, diacetile, acetoine e 2-3 butandiolo, influisce negativamente sul pH e sul quadro acido del vino/mosto, la degradazione del malico e la presenza del lattico nel vino da parte dei lieviti sembrerebbero dovute a vie metaboliche differenti e separate nella cellula. Queste vie metaboliche per essere attivate hanno bisogno di un quantitativo di ossigeno/aria molto importante, anche per questo motivo sono attivate all’inizio della fermentazione alcoolica.

Figura 3: A: fermentazione malolattica con trasformazione di acido L-malico in acido L-lattico e CO2. B: metabolismo dell’acido citrico da parte dei batteri lattici con produzione di molecole aromatiche diacetile, acetoino e 2,3 butandiolo, che apportano i caratteristici odori di burro. (Waterhouse et al., 2016).

Francy Oenology da qualche anno ha iniziato uno studio specifico per l’attività metabolica degli acidi organici da parte dei lieviti Saccharomyces cerevisiae che ha sviluppato il ceppo con il nome commerciale Leremy Fr1684, che viene prodotto con due processi di induzione differenti, in grado di degradare l’acido malico prima e durante la fermentazione alcolica. I vantaggi di una degradazione dell’acido malico durante la fermentazione alcolica e senza modifica dell’acidità potrebbero essere molteplici, innanzitutto non si avrebbe un innalzamento del pH in seguito alla FML, si potrebbe definire stabile il vino da un punto di vista microbiologico subito dopo il termine della FA, si ha la possibilità aggiungere solforosa senza aspettare l’avvio della FML, si evita una eccessiva acidificazione del mosto. 

Microvinificazioni 

In questo studio sono state effettuate microvinificazioni in tank da 5 litri utilizzando lo stesso ceppo di lievito indotto in modo differente (A-B) in fase di produzione, sullo stesso mosto bianco testimone, in modo da poter valutare come il quadro amminoacidico usato nella fase di induzione ne possa cambiare il metabolismo. La prova A è stata eseguita preparando un piede di fermentazione per ciascun tank con il lievito A in formato liquido, aggiungendo 1 g (20 g/hL) di lievito in 100 mL di mosto a 20°C con 1 g (20 g/hL) dell’attivante Enervin Zero G. Successivamente è stata aggiunta aria a flusso costante al piede di fermentazione per 4-5 ore. Questa pratica ha consentito di inglobare una buona quantità di ossigeno nella massa aumentato l’attività mitocondriale del lievito. Infine, è stato inoculato il lievito, aggiungendo anche 0,25 grammi (5 g/hL) dell’attivante Enervin Super T. La prova B è stata condotta preparando un piede di fermentazione mettendo 1 grammo di lievito B (20 g/hl) e 1 grammo del suo attivante specifico (20 g/hL) in 100 mL di mosto a 20°C. Anche in questo caso è stato tenuto in agitazione con aria per 4-5 ore per poi essere unito al resto del tank. L’andamento della fermentazione alcolica e il profilo acido del mosto/vino sono stati controllati giornalmente con analisi enzimatiche: zuccheri, pH, acidità totale, acido tartarico, acido L-malico, acido acetico, acido citrico, acido piruvico e acido L-lattico. Questo per valutare il quadro acido e il suo cambiamento nei vari giorni. Il pH è stato analizzato utilizzato un pHmetro, mentre per tutte le altre analisi ho utilizzato un analizzatore enzimatico automatico.  

Preparazione dei lieviti selezionati  

L’utilizzo di cellule di lievito attivo per la degradazione dell’acido malico è ostacolato come già accennato, dalla bassa permeabilità della membrana cellulare (Saayman et al, 2006). La limitazione della diffusione di substrati e prodotti si traduce in una bassa attività catalitica cellulare (Saayman et al, 2006). La via migliore per indurre il lievito ad efficientare le vie metaboliche ed il rilascio di enzimi atti a degradare l’acido malico e altri acidi organici, è una stimolazione di queste vie unita ad una importante incremento di permeabilità, sia di membrana sia di parete cellulare (Pandurić 2017). Il processo di “permeabilizzazione” si basa sulla modifica della porosità della membrana citoplasmatica che consentirebbe la libera diffusione del substrato e del prodotto (Murakami et al. 1980). Le cellule utilizzate in un processo catalitico dopo il processo di “permeabilizzazione” possono essere facilmente separate dall’ambiente di reazione e riutilizzate senza timore di perdita di attività. 
Oltre a creare stress osmotici per aumentare la permeabilità di membrana, si è intervenuti sul metabolismo del lievito stesso per stimolare l’espressione di enzimi come “malato deigrogenasi e acetylCoA sintasi”. Ovviamente le componenti amminoacidiche del mezzo sono importanti perché l’allineamento delle sequenze di amminoacidi mostra che l’enzima si è diviso in 2 gruppi filogenetici principali (Barnhart et al. 2015). La specificità del coenzima dell’enzima “malato deidrogenasi” può essere modulata dalla sostituzione di un singolo amminoacido, così come la specificità dei substrati. Il meccanismo di catalisi di “malato deidrogenasi” è inoltre simile a quello di “lattato deidrogenasi”, un enzima con il quale condivide una somiglianza nella struttura tridimensionale (Goward and Nicchols et al. 1994) La sostituzione di un singolo amminoacido residuo dell’enzima “lattato deidrogenasi” consente di cambiare la catalisi dell’enzima in quella di una malato deidrogenasi (Feeney et al., 1990) (Goward and Nicchols et al. 1994). Quindi a seconda del bilanciamento amminoacidico del mezzo in cui vengono sviluppati i lieviti, possiamo spostare le attività di “malico deidrogenasi” o verso l’ossalacetico verso l’acido lattico. Ma per fare questo, si necessita di una fonte carboniosa per poter mantenere in attività quelle vie metaboliche e ossidare l’acido malico. In questo caso abbiamo quindi lo stesso ceppo Leremy Fr1684 sviluppato però con due bilanciamenti amminoacidici differenti in fase di sviluppo (lievito A e lievito B).

Prova (A): lievito demalicante Saccharomyces cerevisiae Leremy Fr1684 

Tabella 1: Andamento fermentativo di Saccharomyces cerevisiae Leremy Fr1684.

I dati dimostrano che la fermentazione alcolica operata dai lieviti ha consumato tutti gli zuccheri fermentescibili presenti (da 183,4 g/L a 5,38 in circa 12 giorni), inoltre vi é una diminuzione di acido L-malico con un conseguente aumento di acido lattico.
Il passaggio dell’acido L-malico all’interno della cellula normalmente è limitato (Saayman et al, 2006) ma potrebbe essere reso possibile dalla permeabilizzazione effettuata in fase di induzione/preparazione del lievito, ed è ipotizzabile dai dati che disponiamo, che l’acido malico sia stato poi convertito in acido lattico, probabilmente a causa del trattamento di induzione (diverso bilanciamento della nutrizione amminoacidica) che probabilmente all’espressione dell’enzima malato deidrogenasi a svolgere questo metabolismo (Goward and Nicchols et al. 1994). Con una conversione di acido L-malico in acido L-lattico simile a quella che avverrebbe in una fermentazione malolattica, ci si aspetterebbe un aumento del pH di circa 0,1-0,3 punti e una diminuzione dell’acidità totale (espressa in g/L equivalenti di acido tartarico) compreso tra 1 e 3 g/L, in base alle caratteristiche del vino (Waterhouse et al., 2016).
Questa trasformazione, tuttavia, non ha influenzato significativamente né l’acidità totale che passa da 7,594 g/L a 7,442 g/L, né il pH del vino finale, che partendo da un valore iniziale di 3,3 è rimasto invariato dopo la fermentazione alcolica (3,32). Questi valori potrebbero essere giustificati dal peculiare rapporto lattico/malico che mostrano le analisi, che è di circa 0,74 (3 g di acido lattico /4,03 grammi di acido malico), e si discosta significativamente da quello di una fermentazione malolattica che è di circa 0,67 (Esti et al. 2004).
Questo elevato rapporto lattico/malico, infatti, potrebbe essere causato dall’apertura di una via metabolica alternativa che ha portato ad una produzione maggiore di acido lattico. Tuttavia, poca bibliografia è disponibile per spiegare questo comportamento da parte del lievito. Una prima ipotesi potrebbe essere legata alla produzione di acido L-malico da parte della cellula di lievito durante la fermentazione alcolica per vie alternative, che successivamente viene convertito in acido lattico. La produzione del malato è infatti teorizzabile in quanto l’acido L-malico potrebbe essere prodotto nel perossisoma grazie al ciclo del gliossalato, a partire dalla degradazione di acidi grassi, catalizzato dall’enzima “malato sintasi” (MLS) (Van Roermund et al., 1995). Questa reazione produce da due C2 (molecole di gliossalato) e acetil-CoA una molecola C4 (L-malato), che consente la sintesi di intermedi del ciclo TCA nel perossisoma quando i mitocondri non sono funzionali in condizioni anaerobiche o ad alto contenuto di glucosio, come durante la fermentazione alcolica (Van Roermund et al., 1995). Un’ulteriore ipotesi di sintesi del malato nella cellula di lievito potrebbe essere legata all’intervento dell’enzima deidrogenasi perossisomiale (MDH3), che invece, sempre nei perossisomi, catalizza la riduzione dell’ossalacetato a malato con la concomitante ossidazione del NADH a NAD+ (Van Roermund et al, 1995). Acido tartarico, piruvico, acetico e citrico non hanno mostrato modifiche significative alla nostra prova.

Prova (B): lievito demalicante Saccharomyces cerevisiae Leremy Fr1684-M

Tabella 2: Andamento fermentativo di Saccharomyces cerevisiae Leremy Fr1684-M.

In tabella 2 i dati del decorso fermentativo della Prova B. Il metabolismo degli zuccheri, acido acetico, tartarico, citrico e piruvico non ha mostrato differenze con la tesi precedente, invece, contrariamente a dati registrati nella prova A, l’utilizzo di Saccharomyces cerevisiae ceppo 1684-M (B) ha causato solo una piccola degradazione dell’acido malico (0,2 g/L) e nessuna produzione di acido lattico (< 0,1 g/l). Tuttavia l’acidità totale ha evidenziato un incremento significativo (1,5 g/L equivalenti di acido tartarico). Questa evidenza, potrebbe essere spiegata con una produzione di acido malico e una seguente parziale conversione di quest’ultimo in acido ossalacetico. (Radler, 1993). L’acido ossalacetico è un acido diprotico con costanti di dissociazioni acida (pka) pari a 2,2 e 3,9 che é quindi un acido più forte rispetto all’acido malico (pka 3,40 e 5,20).
Diversi studi hanno riportato che la reazione che converte il malato a ossalacetato potrebbe essere possibile grazie all’enzima L-malato deidrogenasi che consente la sua ossidazione a ossalacetato con riduzione di NAD+ a NADH (Minarik et al., 2002). In Saccharomyces cerevisiae sono stati segnalati tre isoenzimi di MDH (MDH1, MDH2 e MDH3) (Minard & McAlister-Henn, 1991). MDH1 è un isoenzima mitocondriale e funziona nel ciclo TCA. MDH2 è un isoenzima prevalentemente citosolico che ossida il malato a OAA nel ciclo del gliossilato. MDH3 è un isoenzima gliossomiale (Steffan & McAlister-Henn, 1992) che è un componente essenziale della via della gluconeogenesi. (Van Roermund et al., 1995). Quindi anche se i mitocondri sono inibiti dalla fermentazione e non possono conseguire questa reazione, sono disponibili le MDH2 e MDH3 che potrebbe portare a termine la reazione. 

DIFFERENZE TRA LIEVITO IN CREMA E POLVERE 

Per valutare se la capacità di degradazione del malico fosse permanente in tutte le condizioni, soprattutto in fase di anidrobiosi (cioè nella forma secca), si sono fatte delle prove comparando la forma secca ad inoculo diretto con la forma in crema (forma in cui il lievito è venduto). La prima prova fatta con la forma secca è stata seguita dall’enologo Roberto Cipresso in una delle sue consulenze in Argentina. Sono state condotte prove in triplo sia su mosto rosso sia su mosto bianco ad alta concentrazione di zucchero e pH alti (vedi tabelle 3 e 4, valori medi delle analisi).

Tabella 3: comparazione tra cinetiche fermentative del lievito in crema e del lievito in polvere su mosto rosso a media concentrazione zuccherina.
Tabella 4: comparazione tra cinetiche fermentative del lievito in crema e lievito in polvere su mosto bianco passito ad alta concentrazione zuccherina.

Come si evince dalle tabelle 3 e 4, il lievito in crema inizia a fermentare e a degradare il malico prima di quello in polvere e ovviamente chiude la fermentazione con netto anticipo, sulle medio-alte concentrazione. Sulle alte concentrazioni zuccherine, le differenze si riducono notevolmente, ma quello in crema rimane leggermente più veloce nella fermentazione. In tutte le situazioni il lievito in crema usa il malico con una resa in lattico decisamente più alta.
Nella tab.3 il lievito in crema ha prodotto 1,9 g/L di lattico con un malico di partenza di 2.74 g/L, il rapporto è di 0,69, contro lo 0,55 del polvere (1.52 g/L di lattico), le medesime differenze le riscontriamo anche nella tab. 4, dove si nota che il lievito in crema ha sviluppato 1,44 g/L di acido lattico con un malico di partenza di 1.22 g/L, il rapporto è di 1,18, contro lo 0,59 del polvere (0.72 g/L di lattico).
L’acidità totale non varia (tendenzialmente aumenta il valore) e vi è una riduzione del valore di pH, questo conferma che in tutte le condizioni il lievito migliora il quadro acido del vino, percependolo anche a livello organolettico.
Per quanto riguarda l’acido acetico, normalmente questo lievito produce pochissimo acido acetico e quel poco che produce è riassorbito dal metabolismo della cellula stessa. Nel caso di concentrazioni zuccherine molto alte con condizioni estreme, soprattutto per quanto riguarda la composizione chimica al 80-90% dell’alcool sviluppato, lo stress fermentativo diventa importante. 

Conclusioni 

Il lievito Saccharomyces cerevisiae Leremy Fr1684 è un lievito che, grazie al processo di “permeabilizzazione” della membrana plasmatica in fase di induzione e di stimolo di alcune vie metaboliche definite, è in grado di metabolizzare l’acido L-malico nel vino in maniera differente in base al quadro amminoacidico utilizzato in fase di sviluppo/induzione (A) e (B). Infatti come riportato in alcune pubblicazioni, il quadro amminoacidico della fase di induzione del lievito potrebbe aiutare sia ad aumentare la permeabilità della membrana plasmatica formando dei canali che potrebbero consentire il passaggio di alcune molecole, in particolare l’acido L-malico, (Johansson and Blatt 2006), sia a modificare il potere catalitico della malato deidrogenasi (Feeney et al., 1990): il lievito infatti è riuscito in entrambe le prove (A) e (B) a consumare L-malato. Nella prova (A) producendo acido lattico e senza aumentare il pH e diminuire l’acidità totale come avverrebbe in una normale fermentazione malolattica svolta dopo la fermentazione alcolica (Waterhouse et al., 2016), nella prova (B) degradando parzialmente (ma può arrivare alla totalità) l’acido malico, senza produrre acido lattico ma spostando il metabolismo sulla probabile produzione di acido ossalacetico. Inoltre, anche il processo di disidratazione della cellula e quindi la successiva fase di anidrobiosi (lievito secco) non modificano nella sostanza l’attività metabolica che permette la degradazione del malico.
Questo potrebbe rivelarsi di estrema utilità per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici che causano, come già accennato, un abbassamento sempre più frequente alle acidità nei vini (Ganichot, 2002) che potrebbe portare a diversi riscontri enologici negativi come un “appiattimento” e uno “sbilanciamento” da un punto di vista organolettico, si avrebbe una facile crescita di batteri lattici e di lieviti contaminati come Dekkera/Brettanomyces che possono causare deviazioni organolettiche, l’anidride solforosa molecolare sarebbe più bassa e non garantirebbe una buona azione antimicrobica. Per i vini bianchi e le basi spumanti, questo comporterebbe una stabilità microbiologica, non essendoci più il malico da fermentare, non ci sarebbero problemi legati alla fermentazione malolattica, i bianchi rimarrebbero più freschi e con acidità costanti nel tempo. Infatti svolgendo la fermentazione malolattica, soprattutto nel caso dei vini rossi dove quasi sempre viene effettuata, si ha un aumento di pH di 0,1-0,3 unità e una diminuzione dell’acidità totale di 1-3 g/L espressa in acido tartarico (Waterhouse et al., 2016), mentre utilizzando il ceppo LEREMY Fr1684 l’acido L-malico non sarebbe più disponibile per i batteri lattici della FML che quindi non potranno svolgerla. A livello enologico, inoltre, non dover eseguire la FML potrebbe portare a diversi vantaggi tra i quali la possibilità di aggiungere anidride solforosa subito dopo il compimento della FA, che normalmente ostacolerebbe lo sviluppo dei batteri lattici (sensibili a solforose molecolari 0,6-0,8 g/L) (Delfini et al. 1982), e quindi poter subito proteggere il vino con il suo effetto antimicrobico, antiossidante e antiossidasico (Chatonnet et al. 1995; Ribéreau-Gayon et al. 2021).  

Per maggiori informazioni: info@francyoenolgy.com

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Notizie correlate:
Il ruolo della tiamina nelle fermentazioni lente

Abstract La tiamina (vitamina B1) è un nutriente vitale per la crescita e il metabolismo dei lieviti. I lieviti privilegiano l’assimilazione della tiamina dal mosto d’uva prima di iniziare a produrne di propria. I lieviti possono immagazzinare fino a 10 000 volte più tiamina di quella disponibile nel mosto d’uva. Questo processo di immagazzinamento conserva

Cos’è l’instabilità dei vini e quali sono le conseguenze sul prodotto?

“Instabilità” è un termine generico definito come la tendenza a cambiare, anche repentinamente. Questa definizione delinea una situazione di incertezza, che traslata nel settore enologico significa che il vino instabile può cambiare anche rapidamente nel tempo in funzione delle condizioni di conservazione, evolvendo generalmente in modo negativo. L’instabilità del vino riguarda molti dei suoi costituenti sia semplici

SalViBio: dalla biodiversità viticola locale nuove opportunità per l’adattamento della viticoltura al cambiamento climatico

Pier Giorgio Bonicelli, Ginevra Canavera, Riccardo Collivasone, Silvia Pagani, Mario Gabrielli, Tommaso FrioniUniversità cattolica del Sacro Cuore, Piacenza Una delle sfide impellenti per la viticoltura italiana è quella di trovare nuove soluzioni per fronteggiare il cambiamento climatico. L’aumento delle temperature e la carenza di precipitazioni hanno infatti pesanti ripercussioni sulla produttività e qualità delle uve

Tecnologie innovative di criomacerazione

Vito Michele Paradiso1*, Massimo Tripaldi2, Maurizio Frati3, Ilaria Prezioso1 , Gabriele Fioschi1 , Giuseppe Gambacorta4 , Mirella Noviello4 1 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali, Laboratorio di Microbiologia agraria e Tecnologie alimentari, Università del Salento, Campus Ecotekne, 73100 Lecce (LE), Italia 2 Centro Servizi Enologici S.r.l., Via per Avetrana 57, 74024 Manduria Ta, Italia 3

Lieviti fruttofili: conseguenze della selezione dei ceppi di lievito

Storicamente sono molte le cause attribuite all’arresto e alla lentezza delle fermentazioni. Tra queste figurano fattori legati al vigneto e alla viticoltura (Brix elevati alla vendemmia, carenze nutritive, degradazione fungina e residui agricoli, tra cui pesticidi, fungicidi ed erbicidi), gestione della cantina (selezione errata del ceppo, procedure di reidratazione non corrette, temperature di fermentazione non