Un nuovo metodo, non brevettato e quindi a disposizione delle cantine, permette di rilevare la quantità di batteri acetici nel vino prevedendo gli aumenti che incidono sull’aroma, risultato dello spunto acetico/acescenza. Si basa sull’olfatto, è più semplice ed efficace di quelli attuali ed è il risultato della tesi di dottorato di Alejandro Parra Manzanares, svolta presso l’Università di La Rioja e il Laboratorio Dolmar Tentamus.

La tesi “Il rilevamento dei batteri acetici nei vini: problemi e sviluppo di un test predittivo rapido”, diretta da Ana Rosa Gutiérrez Viguera e Isabel López Alfaro, è stata sviluppata presso il Dipartimento di Agricoltura e Alimentazione dell’UR e l’Istituto di Scienze della Vite e del Vino (ICVV: Governo di La Rioja, CSIC e UR); il Gruppo di Ricerca “Gestione e Controllo della Vinificazione” (GESVIN) e il Laboratorio Dolmar Tentamus (Gimileo, La Rioja).

L’eccesso di acido acetico nei vini causa il rifiuto dei consumatori e ne compromette la qualità. La presenza di questi batteri è comune nei vini, generalmente sotto forma di popolazioni residue.

Il problema sorge quando questi microrganismi si moltiplicano in eccesso e formano grandi quantità di acido acetico. È una preoccupazione per le cantine controllare la presenza di batteri acetici ed evitare ulteriori aumenti dell’acidità volatile, soprattutto durante lo stoccaggio dei vini finiti.

Tuttavia, la mancanza di analisi semplici ed efficaci ha portato Alejandro Parra Manzanares a concentrare la sua tesi sullo sviluppo di un terreno di coltura liquido per il rilevamento precoce dei batteri acetici basato sull’olfattometria.

Fino ad oggi, le cantine potevano analizzare la concentrazione di acido attraverso le tradizionali colture solide, anche se spesso portavano a falsi negativi; oppure attraverso la PCR, una tecnica costosa che, inoltre, deve essere eseguita da terzi.

In questo senso, il nuovo metodo – che non è brevettato, quindi cantine e produttori possono utilizzarlo liberamente – è stato contrapposto ai risultati ottenuti con la PCR ma, a differenza di quest’ultima, è semplice ed economico: la cantina ha bisogno solo di un frigorifero e di un fornello per prevedere il rischio di acido acetico nei suoi vini.

Un campione di vino da analizzare viene posto nel terreno di coltura, riscaldato a 30° e controllato quotidianamente con l’olfatto fino a quando non viene rilevata la concentrazione di acido acetico e il conseguente aroma di aceto.

Controllando il giorno in cui compare l’odore, è possibile conoscere la quantità di batteri dell’acido acetico presenti inizialmente nel campione di vino e il pericolo di acescenza.

I risultati di questa ricerca – a cui hanno partecipato Alejandro Parra Manzanares, Ana Rosa Gutiérrez Viguera, Isabel López Alfaro, Lucía González Arenzana e Aroa Ovejas Gálvez – sono stati pubblicati nell’articolo “Development and Validation of a New Method for Detecting Acetic Bacteria in Wine” disponibile sulla rivista Food.

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