La sostenibilità delle produzioni vitivinicole è, ad oggi, il tema di principale interesse dell’opinione pubblica mondiale e di tutti gli operatori della filiera. Nei prossimi anni, la produzione di vino biologico è destinata a crescere in tutti i paesi europei, ciò comporterà la necessità di un graduale e proporzionale incremento di superfici viticole a coltivazione biologica. Ma come sarà possibile implementare la viticoltura biologica e nel contempo garantire produzioni di vino di alta qualità? La risposta non appare per nulla scontata, tanto più se valutiamo le richieste sempre più pressanti dell’Unione Europea in termini di sostenibilità ambientale: la riduzione dell’impiego di composti rameici in agricoltura a 4 kg/ha/anno, ad esempio, renderà incerto il futuro dell’agricoltura biologica in diversi areali viticoli. I produttori sostengono che in assenza di alternative efficaci al rame le produzioni biologiche, a causa delle ingenti perdite produttive, non risulteranno più economicamente sostenibili.
La viticoltura biologica può durare con meno rame?
Il rame è il primo anticrittogamico utilizzato in viticoltura: insieme allo zolfo, rappresenta il pilastro portante della viticoltura biologica da oltre 150 anni. Il rame è però un metallo pesante che a differenza degli agrofarmaci di sintesi non degrada e si accumula sia nel frutto sia nel terreno dove inibisce lo sviluppo di microrganismi, tra i quali Azotobacter, Clostidium, Nitrosonomas e Nitrobacter, batteri responsabili della fissazione dell’azoto. Il rame inoltre, inibendo l’enzima deidrogenasi, provoca l’acidificazione del terreno e conseguentemente una diminuzione dell’attività biologica. Se la concentrazione normale di rame presente sulla crosta terrestre si aggira intorno a 70 mg/kg, in un vigneto possiamo raggiungere anche i 1000 mg/kg a causa del suo accumulo. L’eccessivo accumulo di rame può avere effetti negativi anche sulla salute umana: è irritante per le vie respiratorie e può provocare ustioni all’apparato digerente. Diventa quindi indispensabile dosarlo correttamente, per evitare effetti deleteri non solo per l’ambiente ma anche per la salute dei consumatori. La presenza di alte concentrazioni di rame nei mosti, inoltre, ha delle ripercussioni notevoli sulla la qualità del vino.
Recentemente sono stati sottoposti a screening contro la peronospora oltre cento diversi trattamenti biologici alternativi al rame, ma nessuno di questi si è dimostrato altrettanto efficace.
La ricerca sta concentrando le proprie risorse nell’individuazione di soluzioni innovative e sostenibili allo scopo di garantire un futuro certo e lungimirante all’agricoltura biologica. L’argomento di maggior attualità tra i banchi dell’Unione europea risulta essere l’impiego delle varietà resistenti ai principali patogeni (peronospora, oidio) che potrebbero rappresentare una svolta epocale per tutta la viticoltura mondiale riuscendo a ridurre gli apporti di pesticidi fino al 70-80%.
Varieta resistenti – la soluzione (bio)logica
I Vivai Cooperativi Rauscedo sono fermamente convinti che la strada intrapresa sia la più concreta e sicura per fare della viticoltura mondiale una coltura più rispettosa dell’ambiente e meno dipendente dall’uso massiccio di fitofarmaci. Oggi il buon uso della genetica può permetterci di raggiungere nuovi traguardi, migliorando l’inestimabile valore derivante dalle varietà di vite oggi coltivate al mondo.
Le prime dieci varietà italiane resistenti, di cui VCR è licenziatario esclusivo, sono state realizzate grazie a un’attività di ricerca iniziata nel 1998 dall’Università di Udine, incrociando le migliori linee resistenti con vitigni internazionali e locali di pregio (Sauvignon, Merlot, Cabernet Sauvignon, Tocai Friulano ecc.) che sono stati iscritti al Catalogo Nazionale nel 2015: Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Mertot Kanthus, Merlot Khorus, Cabernet Volos, Cabernet Eidos, Julius. Nel 2019 saranno presentate per la registrazione nuove varietà ottenute da incroci di Pinot bianco e Pinot nero con diversi e più efficienti donatori di resistenza.
Nel 2015 VCR ha avviato anche un proprio programma di incrocio allo scopo di ottenere nuove varietà resistenti ad uva da vino, con particolare attenzione alle varietà autoctone, che rappresentano il punto di forza della vitienologia Italiana e che, con l’introgressione di geni di resistenza alla peronospora e all’oidio, potrebbero veramente rappresentare un’opportunità unica per i viticoltori. In sostanza, per VCR, questi nuovi vitigni sono delle “Varietà Autoctone Migliorate” con l’obiettivo di coniugare nel loro DNA tradizione ed innovazione: vini da varietà resistenti con un profilo aromatico e polifenolico (per i rossi) di qualità e tipicità comparabile, a quello del genitore di V. vinifera.
Gestione delle varietà resistenti nel campo
Le sorgenti della resistenza alle malattie crittogamiche sono riscontrabili nelle specie di Vitis selvatiche, nella fattispecie quelle americane ed asiatiche, oltre che in alcune varietà di V. vinifera dell’Asia Centrale. L’obiettivo è quello di piramidare 2-3 geni di resistenza rispettivamente per peronospora ed oidio in ognuna delle nuove varietà resistenti selezionate. Ottenere vitigni con resistenza poligenica è importante per assicurare il mantenimento della resistenza in modo permanente. Per le varietà resistenti ad oggi autorizzate alla coltivazione si consigliano 2-3 trattamenti da effettuare seguendo i modelli previsionali per l’identificazione dei periodi di maggior rischio infettivo. Questi trattamenti precauzionali sono indispensabili per scongiurare la comparsa di forme ipervirulente e per proteggere la coltura da malattie secondarie (escoriosi, black rot, antracnosi), normalmente controllate dai medesimi principi attivi utilizzati per il controllo della peronospora ed oidio. È necessario precisare che le malattie secondarie compaiono anche sulle varietà tradizionali in totale assenza di protezione fitosanitaria.
Conclusioni
Il successo nella produzione di uva e vino biologici richiede la considerazione del vigneto come un ecosistema equilibrato in cui la flora e la fauna circostanti contribuiscano a mantenere l’equilibrio verso la crescita e la produttività della vite. L’implementazione di pratiche e condizioni culturali in grado di migliorare il microclima della chioma e la presenza di popolazioni di insetti/microrganismi utili è essenziale al raggiungimento di questo scopo. Tuttavia, l’uso di pesticidi a base di rame rimane indispensabile in presenza di alta pressione di malattia, rendendo l’accumulo di questo metallo nei terreni una limitazione costante per la produzione di vino biologico, specialmente in areali molto umidi. Studi volti a migliorare la filiera vitivinicola biologica saranno di cruciale importanza per il futuro prossimo di questo settore. Le soluzioni future sono rappresentate dall’impiego delle varietà resistenti e dall’utilizzo di prodotti alternativi a basso impatto ambientale nella lotta alle crittogame; condizioni che potrebbero realmente favorire una viticoltura puramente ecosostenibile.
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