L’Italia è ai primi posti nel mondo per la produzione di vino bio, al secondo posto per superficie vitata in Europa dopo la Spagna, con dati e numeri in costante aumento: crescita di aziende e di superfici, ma soprattutto crescita di attenzione da parte dei consumatori.
 
Nel 2014 oltre 72 mila ettari, aumentati del 6,5% rispetto al 2013, in controtendenza rispetto alla superficie convenzionale che invece continua a diminuire. La superficie vitata biologica è arrivata a toccare l’11% di quella totale.
Mentre la viticoltura convenzionale, dunque, è in crisi, la produzione biologica si conferma una carta vincente da giocare per il futuro della nostra viticoltura.
 
Le cantine biologiche certificate in Italia sono circa 1.300 che vinificano, secondo metodiche definite dal Regolamento europeo sul vino biologico 203/2012, circa 4,5 milioni di ettolitri di vino bio. Guida la Sicilia (sia per dimensioni sia per incidenza) dove quasi un ettaro su quattro coltivato a vite è bio, seguita dalla Puglia e Toscana. Ma buone performances vengono raggiunte anche da altre regioni tra le quali spicca, ad esempio, la Calabria.
 
La terra calabra, ancora fanalino di coda nella produzione vinicola tradizionale, nonostante la sua storia enologica (era chiamata “Enotria” ossia “terra del vino”, e i vini calabresi durante l’era dei Greci venivano offerti ai vincitori delle Olimpiadi) è in prima linea nella produzione biologica, grazie anche al territorio, al clima e alla ricchezza ampelografica – quasi trecento cloni sinora catalogati tra gli autoctoni calabresi.
 
E non è un caso che anche quest’anno due dei tre vini premiati con i Tre Bicchieri della Calabria nella guida Vini d’Italia 2016 del Gambero Rosso arrivano dai terreni fertili di Cirò, dove un tempo il vino veniva caricato in anfore di terracotta per diventare vino “olimpico” e oggi “bio”.
 
Questi dati, elaborati da FIRAB e AIAB, sono stati snocciolati durante il convegno “Il vino biologico italiano: qualità mercato e sicurezza”, tenutosi domenica 13 settembre al Sana e nel quale l’AIAB è stata uno dei protagonisti.
 
A tre anni dal Regolamento, risultato del lungo percorso avviato decine di anni fa dall’AIAB e sul quale l’associazione continua a lavorare per rivedere le questioni solfiti, mosti concentrati e additivi, il vino bio è diventato, grazie a una maggiore chiarezza comunicativa (etichetta), molto più attraente per i buyer della grande distribuzione (GDO) e anche per i responsabili acquisti delle enoteche. I risultati? Nel 2014 rispetto all’anno precedente, crescita a due cifre del vino bio (+14%, secondo Nomisma) nella GDO a fronte di un calo di quasi l’1% del convenzionale, andando a rappresentare lo 0,4% del food venduto presso la GDO, canale non certo privilegiato per il bio; peraltro questa quota, prima del 2012, era inesistente. Anche i dati presentati da Ismea/Nielsen confermano questo trend, con +5,6% nella GDO negli ultimi tempi.
 
Nel 2015, la percentuale di italiani che hanno acquistato almeno una bottiglia di vino bio è aumentata di quasi 15 punti, passando dal 2% nel 2013 a 16,8% odierno, a fronte del boom di vendite presso enoteche/negozi specializzati e GDO. Un successo che ha ancora un enorme potenziale inespresso: secondo Wine Monitor Nomisma, il 38% dei consumatori che non beve vino bio, ha dichiarato di non farlo semplicemente perché non trova il vino a marchio bio nei negozi/ristoranti frequentati; tra questi infine, il 90% dei consumatori intervistati da Wine Monitor ha dichiarato di essere interessato ad acquistare il brand del vino preferito se questo inserisse una linea a marchio biologico.
 
E se – dice Vincenzo Vizioli, presidente di AIAB – mentre fino a pochi anni fa rimanevano molti dubbi sulla qualità del vino biologico oggi questa è nettamente aumentata a detta di esperti enologi e consumatori e il vino bio è equiparato ai vini convenzionali di fascia medio alta.
Il successo, infatti, è confermato dai risultati dell’indagine Wine trend 2015: il 4% dei consumatori italiani si fa guidare nella scelta del vino dalla presenza di un marchio bio (nel 2014 tale tasso non superava l’1%); il 49% dei consumatori ritiene che i vini bio siano di qualità superiore rispetto ai vini convenzionali (quota che impenna al 68% tra chi già lo consuma).
 
Ma a tirare la crescita è l’export, come del resto accade anche per il vino convenzionale. Solo negli Stati Uniti, viene dal nostro Paese una bottiglia di vino bio su tre di quelle importate, per un conto economico totale di 56 milioni di euro nel 2013.
 
Un altro settore del biologico che valorizza e monetizza le ricchezze del nostro territorio e le produzioni autoctone“, conlcude Vizioli. “Lo hanno capito le aziende che hanno deciso di investire su validi enologi che hanno fatto decollare qualità e consumi della produzione bio. Deve capirlo anche lo Stato che non deve farsi sfuggire questa opportunità per premiare tutte quelle produzioni che rispondono ai bisogni sempre più emergenti di salute, benessere, gusto di consumatori italiani e mondiali.
 
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